Lo studio del mondo classico al liceo (e anche all’università), mediato com’è soprattutto dalla letteratura, potrebbe lasciare un’immagine falsata, benché spesso in modo inconsapevole. Quando si pensa alla Grecia antica o all’Impero di Roma vengono in mente grandi condottieri, racconti epici che hanno scolpito l’immaginario occidentale, illustri letterati, filosofi che hanno influenzato il modo in cui conosciamo il mondo, raffinati artisti quasi in grado di dare vita al marmo. In altre parole, pensiamo immediatamente ai vari Virgilio, Platone, Cicerone, Cesare, Aristotele, Euripide, Seneca e via dicendo. Nella nostra testa appaiono automaticamente le immagini del Colosseo, dell’Acropoli di Atene, dei bronzi di Riace, dei fregi del Partenone.
Ma tutto questo rappresenta, per così dire, l’eccezione. Intendiamoci: non si vuole negare che i personaggi e i monumenti citati (e i molti altri che si potrebbero citare) non siano espressione del loro tempo o che non aiutino a comprendere quel mondo. Ma restano casi eccezionali, la punta artistica, intellettuale, letteraria, scientifica di un iceberg di umanità che resta per lo più sommerso.
Sbaglieremmo a credere che questa umanità sommersa fosse totalmente ignorante e priva di cultura. Al contrario, la gente semplice che lavorava nei campi, che mandava avanti le diverse attività artigianali, che portava le merci da un capo all’altro del mediterraneo, che rimpinguava i ranghi dell’esercito abitava un sistema culturale complesso, fatto di credenze, tradizioni, pratiche magico religiose e canzoni popolari che modernamente indichiamo con il termine «folklore».
Tommaso Braccini, da sempre attento all’apaideutos bios, alla «cultura di chi non aveva cultura», secondo la felice espressione da lui utilizzata, offre al pubblico un’agile guida al folklore antico che nonostante la censura della cultura alta, talvolta filtra nei testi letterari. Dopotutto, anche l’autore più colto e raffinato è nato e cresciuto immerso nella cultura popolare.
Scopriamo così un mondo fatto di filastrocche per bambini, rimedi della nonna per curare malanni e malocchi, giochi dell’infanzia, spauracchi temibili al pari dell’“uomo nero”. Un mondo fatto di superstizioni e di credenze magico-leggendarie su animali e piante, senza dimenticare le vere e proprie “leggende urbane”. Un mondo, in definitiva, che chiunque di noi abbia un parente sufficientemente anziano, e che non abbia sempre abitato in città, riconosce familiare, fin troppo familiare.
La tentazione di tracciare linee dirette tra il folklore antico e alcuni elementi di cultura popolare moderna (soprattutto di area mediterranea) è fortissima, e probabilmente un fondo di continuità c’è (dopotutto, l’uomo è sempre lo stesso). Ma l’autore, in linea con le tendenze scientifiche più moderne nell’ambito degli studi sul folklore, è molto cauto in questo senso. Il punto non è trovare punti di contatto, ma capire meglio il mondo antico. Per usare le parole di Braccini: «lo studio comparato del folklore antico con quello moderno si rivela più produttivo […] quando, piuttosto che ad argomentare filiazioni o a rivendicare a tutti i costi un’eredità, è finalizzato ad integrare, ricostruire e comprendere meglio contesti ed elementi culturali greci e romani che conosciamo solo parzialmente» (pp. 89-90).
Questa premessa metodologica viene coerentemente rispettata in tutto il volumetto che, pur impiegando un linguaggio perfettamente accessibile ad un pubblico di non specialisti, non per questo sacrifica il rigore scientifico.
Il testo non è appesantito dai riferimenti bibliografici a piè di pagina alle numerosissime citazioni (tutte in traduzione) di opere antiche che sostanziano il discorso e forniscono esempi reali di come la cultura popolare possa scivolare nella letteratura alta o nei testi scientifici. Tuttavia, per chi volesse approfondire il tema in generale o un singolo aspetto, la sezione «Fonti e percorsi» a chiusura di volume racchiude una essenziale bibliografia ragionata divisa per capitolo. Qui emerge ancor di più la competenza scientifica dell’autore, in grado di selezionare, nel vasto mare della letteratura sul tema, delle fonti primarie e secondarie, delle raccolte di racconti e tradizioni popolare, i titoli più significativi e funzionali e di guidare il lettore al contributo che più risponda ai suoi interessi.
Cosa lascia la lettura di Folklore? Beh, che alla fine gli antichi non erano così distanti diversi da noi. I loro bambini si divertivano con le filastrocche ed erano terrorizzati dagli spauracchi sventolati da genitori un po’ sadici, come i nostri. Essi stessi, come noi, mettevano in atto comportamenti irrazionali nella speranza di agevolare la guarigione di un malanno. E qualche volta anche noi ci chiediamo se tutte le sfighe che ci capitano siano causate dal malocchio (pur non credendoci fino in fondo). Insomma, forse nessuno di noi si può immedesimare in Virgilio o in Euripide (a meno di non avere un’altissima autostima, che io non ho), ma tutti potranno riconoscere in almeno uno dei tanti episodi raccontati da Braccini un frammento della propria cultura popolare, magari razionalmente rifiutata, ma comunque parte della propria storia familiare.
Molto interessante che l’A. non mira a forzare una comparazione tra folklore antico e moderno per dimostrare aprioristicamente che quello moderno deriva dall’antico, ma vuole colmare, riempire, saturare le lacune che vi sono nella conoscenza del folklore antico. Encomiabile che lo stesso A. non pieghi “il rigore scientifico” della sua ricerca a un’opera che vuole essere divulgativa nel senso più nobile del termine.
Molto interessante che l’A. non mira a forzare una comparazione tra folklore antico e moderno per dimostrare aprioristicamente che quello moderno deriva dall’antico, ma vuole colmare, riempire, saturare le lacune che vi sono nella conoscenza del folklore antico. Encomiabile che lo stesso A. non pieghi la scientificità della sua ricerca a un’opera che vuole essere divulgativa nel senso più nobile del termine.