Siamo a Tarso, in Cilicia (Sud dell’odierna Turchia), nel 41 a.C.: la regina Cleopatra procede su un battello sontuosissimo – poppa d’oro, vele di porpora, remi d’argento – per andare incontro a Marco Antonio, il triumviro a cui erano state affidate le province orientali e che si trovava in viaggio in quelle regioni. Sulla nave, ancelle e paggi erano vestiti da Amori, Nereidi e Grazie, e profumi di ogni sorta si spandevano sulle rive del fiume. Con questo charme condito di sfarzo Cleopatra avrebbe conquistato l’uomo e l’avrebbe convinto a seguirla in Egitto (i Romani non l’avrebbero presa bene). Non era questa la prima volta che la regina irretiva un uomo con lo sfarzo e i profumi: qualche anno prima, dopo la battaglia di Farsalo e la sconfitta di Pompeo (48 a.C.), aveva cercato di ingraziarsi Giulio Cesare offrendogli un banchetto incredibile, in cui anche i profumi giocavano la loro parte.
Questi due racconti, tramandati rispettivamente da Plutarco (Vita di Antonio, §26) e da Lucano (Pharsalia, vv. 104-171), danno il titolo al recente libro di Giuseppe Squillace, Gli inganni di Cleopatra. Fonti per lo studio dei profumi antichi (Firenze: Olschki, 2022). Il volume si configura come un pendant a Il profumo nel mondo antico dello stesso autore (Olschki, 1° edizione 2010, 2°edizione aggiornata del 2020), ma rispetto a quello vuole essere sostanzialmente una raccolta di fonti nell’originale greco/latino corredate da traduzioni e brevi note.
Seguire le scie dei profumi antichi porta inevitabilmente il lettore a districarsi in una serie molto eterogenea di fonti: passi di storici, geografi, autori eruditi ma anche orazioni, commedie ed iscrizioni. Un posto di rilievo lo occupano le pagine di Plinio il Vecchio, che come sempre nella sua Naturalis Historia si rivela una miniera di informazioni preziose, e un trattatello De odoribus di Teofrasto di Ereso, il successore di Aristotele al Peripato noto per i suoi monumentali studi sulle piante.
Sfogliando le pagine di Squillace, comunque, si possono distinguere a livello tematico due grandi categorie di fonti. La prima è quella scientifico-naturalistica e ‘artigianale’, ossia l’insieme di quelle fonti che descrivono la provenienza geografia dei profumi – con un primato che spetta notoriamente alle regioni orientali del Mediterraneo –, i loro metodi di raccolta e preparazione e le tecniche dei ‘mastri profumieri’ del mondo greco-romano. Seguiamo così la filiera di pepe, zenzero, garofano, nardo, cardamomo, mirra, cassia e zafferano e di altri aromi attraverso regioni aromatifere come l’Arabia e l’India. In questa carrellata, si può leggere fra le righe il riconoscimento del potere di conquista di Alessandro Magno prima e poi dell’impero romano, che hanno portato gli aromi e le spezie orientali in Europa soggiogando popoli che le conoscevano già da tempo. Ne è un esempio l’aneddoto che Plinio (NH 12.32) riporta nella sua trattazione dell’incenso: “una volta che Alessandro Magno, fanciullo, usava con grande abbondanza l’incenso sugli altari, il pedagogo Leonida gli disse di aspettare a onorare gli dèi in quel modo, quando avesse sottomesso le popolazioni che producevano l’incenso. Quando in seguito il condottiero si fu impadronito dell’Arabia, mandò al pedagogo una nave carica d’incenso e gli raccomandò di essere generoso nel culto degli dei” (pp. 67-68). Ai passi di Plinio e di altri autori interessati agli aspetti naturalistici e botanici della raccolta di questi aromi il lettore può accompagnare le cartine e le fotografie in appendice al volume (un sano promemoria per chi, come noi, vive in un mondo in cui si perde sempre più la percezione dell’aspetto e delle distanze delle materie prime).
La seconda categoria è quella socio-antropologica, ossia l’insieme delle fonti che si soffermano sull’utilizzo dei profumi e la loro percezione nella società greco-romana. Come già presagito dagli aneddoti relativi a Cleopatra, l’idea più diffusa è che il profumo sia legato a inganno, corruzione morale, sperpero, lusso sfrenato e stravaganza. Tanti sono gli esempi in cui le fonti, specialmente romane, parlano del ruolo dei profumi in questo senso (i famosi ‘ozi campani’ che avrebbero rammollito l’esercito di Annibale e che includevano profumi, gli ‘impiastri di Poppea’, l’olio di nardo del liberto Trimalcione). Queste storie raggiungono talvolta livelli parossistici, come nel caso del re Antioco IV Epifane, che si fece una volta cospargere di un profumo di mirra che rese il pavimento scivoloso e fece cadere tutti i suoi cortigiani fra le risate generali (Polibio XXVI 13-14 in Ateneo 5.194 b-c). O come nel caso di Eliogabalo, dipinto con toni sferzanti dagli scrittori della Historia Augusta nelle sue stravaganze che l’avrebbero portato a soffocare dei convitati con petali di fiori e a riempire vasche di vini profumati e di unguenti vari (e che vi abbiamo raccontato in un episodio del nostro podcast dedicato proprio ad Eliogabalo).
Non si esauriscono certo qui le vie dei profumi e il libro di Squillace esplora anche altre strade: letteralmente le strade e i quartieri dei profumi nelle città antiche come Atene o Capua, ma anche elementi della mitologia legati al profumo (a cui l’autore, d’altronde, aveva dedicato altre pagine, cf. Le lacrime di Mirra. Miti e luoghi del profumo nel mondo antico, Il Mulino 2015 o Nel regno di Narciso. Fiore, profumo e pianta di un mito antico, Carocci 2020). Gli inganni di Cleopatra, dunque, risulta una raccolta interessante che può essere una buona base di partenza per studenti (anche liceali, che magari frequentano meno testi di questo tipo) e studiosi, ma è anche alla portata di un pubblico più vasto. Si inserisce in una tendenza generale volta ad esplorare i paesaggi sensoriali del mondo antico, in questo caso i cosiddetti ‘scentscapes’ (panorama olfattivo), quelli in cui siamo immersi costantemente senza accorgercene. O meglio, senza accorgersene fino a quando non c’è qualcosa che non va: chi in questi anni ha sperimentato la cosiddetta anosmia (perdita dell’olfatto) come sintomo del Covid-19 sa quanto sia sgradevole la perdita di un aspetto fondamentale della nostra vita quotidiana. Rispetto agli aspetti visivi, che recuperiamo in parte grazie all’arte e all’archeologia antica, il profumo del mondo antico è certamente più sfuggente. Lo diceva già Plinio (NH 13.4) quando riconosceva che ‘perle e gemme per lo meno passano agli eredi, le vesti durano nel tempo’, mentre ‘i profumi di dissolvono istantaneamente e muoiono appena nati’ (unguenta ilico exspirant ac suis moriuntur horis, p. 42-43). La raccolta di G. Squillace, dunque, ha il merito di farci indugiare su queste scie evanescenti.